Lo scudetto del Verona

Accadde nel 1985, quando il Verona vinse il suo primo scudetto. Fu l’ultima volta che una provinciale conquistò il titolo. Sempre che non si scelga di adottare una prospettiva europea.

All’epoca nel campionato di serie A giocavano campioni come Maradona e Zico, Platini e Rummenigge. Se ne può dedurre che oggi per compiere un’impresa simile gli scaligeri dovrebbero vincere Liga o Premier League.

In molti sottolineano come in quella stagione fosse stato adottato un sistema di sorteggio integrale degli arbitri, poi però subito abbandonato. In effetti, pensate solo a quanto dev’essere costato al Verona, acquistare l’intero lotto.

Sulla panchina del Verona sedeva Osvaldo Bagnoli, detto lo “Schopenhauer della Bovisa”, perché non era sempre facile comprendere i suoi bofonchiamenti. Tra i suoi aforismi più significativi, ricordiamo “il terzino fa il terzino, l’attaccante fa l’attaccante”. Il suo problema erano i centrocampisti.

Tra i giocatori, il più importante fu il danese Preben Larsen Elkjaer. Inarrestabile come un bisonte lanciato su un campo di calcetto saponato, per fermarlo bisognava riuscire a incanalarlo in un barile di birra. Di lui si ricorda una fuga vincente contro la Juventus, terminata con un gol segnato perdendo una scarpa, dopo il brutale tentativo di intervento del rude stopper bianconero Brio. Che rimase con lo scarpino in mano. E non si sposò mai più.

Altro protagonista fu il portiere Garella. Nasuto e sgraziato, ex controfigura nei Ricchi e Poveri, noto soprattutto per le parate di piede. In seguito tentò senza successo di brevettare gli scarpini con le dita.

Un enorme contributo arrivò anche da Pierino Fanna, un’ala talmente veloce che già a vent’anni aveva lasciato indietro tutti i capelli. Di lui Osvaldo Bagnoli diceva che “aveva settanta metri nelle gambe”. Da cui anche il nomignolo di Rocco Siffanna.

Grinta e muscoli li mise Hans Peter Briegel, tedesco, ex decatleta, addetto alle punizioni corporali per compagni indisciplinati e avversari esuberanti.

Meno noto l’apporto del terzino Luciano Marangon, un dongiovanni che aveva il compito di scoparsi le mogli degli avversari, per poterli poi ricattare.

Principali antagoniste del Verona furono Juve, Roma e Inter. I vecchi tifosi veronesi tramandano che l’astuto Bagnoli riuscì a prevalere grazie a uno stratagemma. Si finse disinteressato e regalò agli avversari un gigantesco pandoro, dentro il quale nascose i propri calciatori.

Alla fine di un’entusiasmante galoppata, lo scudetto arrivò nella città di Romeo e Giulietta. Da allora in poi, a Verona Shakespeare fu noto come il vice di Bagnoli.

Durante i festeggiamenti, Verona si tinse interamente di gialloblù, grazie a una deroga del Ministero dei beni culturali. Quel giorno, veneti e terroni si abbracciarono come se non ci fosse un domani. Quasi presagendo che poco tempo dopo sarebbe nata la Lega e il Verona non avrebbe più vinto alcunché.

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