Italia – Corea del Nord 0-1

Accadde ai Mondiali del ’66, quando si trovarono di fronte un Paese da tempo diviso tra due differenti realtà territoriali ed economiche in perenne conflitto tra loro, e la Corea del Nord.
In Inghilterra, paese ospitante, erano gli anni della Swinging London, del beat, dei capelloni, del sesso libero e di tante altre cose che in Italia non abbiamo ancora finito di censurare.

Gli azzurri potevano contare sui talenti di Rivera, Mazzola, Facchetti, Albertosi, Bulgarelli, campioni la cui fama è rimasta duratura, anche grazie alla sagace strategia di addossare tutte le colpe all’allenatore Edmondo Fabbri.
Le relazioni sulla Corea del Nord parlavano di una squadra capace solo di correre come tanti “Ridolini”. Un’espressione che oggi forse non dice molto a chi non conosce i film di Chaplin o il Foggia di Zeman.

In seguito ad una banale palla persa a centrocampo e ad un inatteso tiro dal limite, al 41’ del primo tempo l’Italia si ritrovò in svantaggio. Ma nessuno sembrò preoccuparsene più di tanto, essendoci tutto il tempo davanti per recuperare. Altrove nel frattempo, con la stessa strategia si stava generando il debito pubblico.

Il gol decisivo fu segnato da Pak Doo-Ik, noto in patria come “quello della pellicola per alimenti”. Di lui, a lungo si disse che nella vita quotidiana facesse addirittura il dentista. Solo in età recente si è potuto accertare che in realtà lavorava al catasto.

Tuttavia, dopo la vittoria, i festeggiamenti smodati dei giocatori nordcoreani costarono loro la sconfitta con il Portogallo, il biasimo del regime e la detenzione temporanea in un campo di lavoro. Questo ci deve far riflettere sul fatto che, se le cose fossero andate diversamente e la Corea fosse arrivata a perdere in finale per via del famoso gol fantasma inglese, a quest’ora l’Occidente sarebbe un cumulo di macerie post-atomiche.

Da parte loro, gli azzurri al ritorno furono bersagliati dal lancio di pomodori, in quantità comunque superiore alla razione di cibo annuale di ciascun coreano.

In seguito, “Corea” divenne un termine di linguaggio corrente, per designare una sconfitta catastrofica. Il vocabolo si è talmente sedimentato nell’immaginario collettivo, che a nulla sono serviti gli sforzi di Lippi con la Nuova Zelanda né quelli successivi di Prandelli con il Costa Rica.

Come conseguenza del tracollo, la Federazione decise il blocco delle frontiere di calciomercato, che durò fino al 1980. Grazie a questa politica, nel decennio ’70-’80 nessun club italiano vinse più la Coppa dei Campioni, ma fu possibile gettare le basi per un solido calcioscommesse, fieramente autarchico.

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